Un galeone in terraferma

Casimiro Milano faceva il commerciante di agrumi. Come suo padre. Portava gli agrumi della Costiera al mercato generale di Roma. Più di quattro ore di viaggio ad andare e a tornare. Un lavoro duro, e neppure remunerativo. Ma negli anni ’60 a Praiano non c’era molta scelta. Si viveva di pesca, di agricoltura e di commercio.

Il turismo toccava solo Positano, e un po’ più Amalfi. A Praiano era cosa da poco, perché era un paesino ai più sconosciuto. Con un’eccezione: l’Africana, un club aperto in una grotta a picco sul mare accanto a una torre di avvistamento spagnola. Una location unica, che ne aveva fatto punto di riferimento della Dolce Vita dell’area napoletana. 

A Casimiro venne un’idea. Molto azzardata: comprarsi un pezzo di montagna vicino all’Africana, sull’altro lato della torre e poco avanti alla spiaggetta de La Praia, e aprirci un bar.

Non aveva alcuna esperienza. Né l’aveva sua moglie Pasqualina, una giovane napoletana che aveva conosciuto nelle sue visite allo zio finanziere che abitava con moglie e figli proprio sopra la casa di Casimiro. “Io venivo da Napoli ad aiutare mia zia,” ricorda. “Casimiro si nascondeva dietro a un albero di fichi e rimaneva a guardarmi. Mi piaceva, era un bravo ragazzo e nell’ottobre del 1960 ci siamo sposati”.

Pasqualina faceva la sarta. E di bar non sapeva nulla. Ma l’idea piacque anche a lei. Se non altro perché così Casimiro avrebbe smesso di trascorre la sua vita lontano da lei a bordo di un camion.

Trovare i quattro milioni da pagare al proprietario il terreno, un positanese, fu la parte più facile. Perché quei soldi non gli avevano dato un bar, bensì una montagna. “Per fare il bar c’è voluta prima la polvere da sparo, per lo sbancamento iniziale, e poi mesi di colpi di piccone”, ricorda Casimiro.

Neppure nei momenti più difficili, quando le mareggiate erano più minacciose, a Casimiro è mai venuto il dubbio di aver fatto un errore. Anzi, più passava il tempo più si convinceva di voler andare avanti.

Il passaggio da bar a ristorante fu tanto casuale quanto naturale. “Un giorno un cliente che veniva dalla spiaggia mi chiese se gli potevo fare uno spaghetto con i polipi. Io gli suggerii di andare al ristorante che era lì vicino. Si chiamava “da Luca”. Ma poi cominciai a fare delle prove. E un giorno lo stesso proprietario del ristorante mi fece i complimenti: “Pasquali’, mi disse, ‘si’ ‘na grande femmena!’”.

Volendo fare un ristorante, occorreva trovare un nome. Fu Casimiro a pensarlo. Con la torre di avvistamento a poche decine di metri, gli venne naturale pensare alla figura che nei secoli era stata la più temuta dai suoi compaesani. “La scelta era tra Saraceno e Pirata e scelsi il secondo”, ci dice.

Il ricordo più bello di quegli anni iniziali?  “C’era un conte, molto noto nella zona, che un giorno venne con molti suoi amici. Si sedette a capotavola e disse: ‘qui è come star seduti a poppa di una nave’. Il che fu un buon inizio”, ci dice Pasqualina. “Dopo pranzo mi mandò a chiamare. Io temetti che qualcosa non gli fosse piaciuto. Invece, con tutti i suoi ospiti, mi batté le mani”.

Adesso al timone del galeone ci sono i figli Rino e Vera. Mentre a poppa ci sono forse un po’ meno conti e marchesi, ma sicuramente molta più gente venuta da ogni parte del mondo. Ad accoglierla sono ancora Casimiro e Pasqualina.

Vai al sito del ristorante Il Pirata